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venerdì 29 aprile 2011

Un fiore bianco per le vittime dell’amianto

Un fiore bianco per le vittime dell'amianto. 
A Casale Monferrato si è celebrata la giornata mondiale in memoria dei deceduti a causa dell'asbesto. 
Oltre duemila persone sono arrivate da tutto il mondo nel paese che ha visto morire 1700 persone negli stabilimenti Eternit Un fiore in ricordo delle vittime dello stabilimento Eternit a Casale Monferrato. Nella giornata mondiale in memoria delle vittime dell'amianto, giovedì circa duemila persone hanno marciato nella cittadina piemontese per portare un fiore bianco nell'area dove sorgeva il cementificio. In futuro lì, in via Oggero, sorgerà il parco "Eternot", a memoria di tutto ciò che hanno passato gli abitanti di Casale: più di 1700 vittime per le malattie causate dall'asbesto e circa 500 persone malate ancora oggi. E se da una parte c'è speranza negli esiti del processo in corso a Torino, dall'altra ci si impegna affinché anche in altri Stati si possa arrivare alla messa al bando di questo materiale cancerogeno.
Se a quei mali non c'è cura, un sollievo è rappresentato dalla giustizia. Dopo la sentenza della Thyssenkrupp, a cui alcuni casalesi hanno assistito dal vivo, c'è un clima positivo. "Checché se ne dica, per noi è stata molto importante e ci ha dato molta speranza", dice Romana Blasotti Pavesi, la "Erin Brockovich" di Casale. Sebbene abbia molti anni e la sua famiglia sia stata segnata da cinque lutti per colpa dell'amianto (leggi il ritratto), lei anima ancora la battaglia pacifica contro l'amianto e non manca a un'udienza del processo contro gli ex proprietari, il barone belga Jean-Louis De Cartier De Marchienne e lo svizzero Stephan Schmidheiny.
"La sentenza ci sta incoraggiando molto – afferma Bruno Pesce, coordinatore dell'Associazione vittime dell'amianto -. Lì è stato riconosciuto il dolo e nel nostro processo il reato contestato è disastro ambientale doloso permanente. Da quanto è emerso dall'indagine di Raffaele Guariniello, dalle testimonianze e dalle perizie, i vertici dell'Eternit sapevano cosa combinavano". Resta un risvolto tragico: nonostante le bonifiche in corso dagli anni Novanta a Casale e nell'area circostante, le persone continuano ad ammalarsi e morire. Basta respirare una quantità minima di polvere: la si cova anche per anni, il cosiddetto periodo di latenza, e poi sopraggiunge l'asbestosi o il mesotelioma: "Persistono le cause, e non solo gli effetti. Per questo il disastro è permanente", spiega il coordinatore dell'associazione. A giugno, dopo una pausa, comincerà l'ultima fase del processo al tribunale di Torino con la requisitoria di Guariniello e dei sostituti procuratori Gianfranco Colace e Sara Panelli, mentre per settembre si aspetta la sentenza.
Nell'attesa i casalesi cercano di condividere le loro esperienze con gli attivisti europei, americani e indiani, arrivati fino in Italia per partecipare alla manifestazione giovedì. "C'è stato un convegno internazionale sulla situazione dei vari paesi in cui ancora si lotta per la messa al bando dell'amianto, o in cui si cercano soluzioni per le bonifiche, per la sanità, per la giustizia, per il futuro", spiega Pesce. All'estero l'Eternit continua ad agire così come faceva a Casale Monferrato, Bagnoli (Na), Rubiera (Re) e Cavagnolo (To): "Abbiamo visto che in India o in Brasile questo smaltimento illegale degli scarti va avanti".
Il polverino viene dato alla gente per lavori nelle case e nei luoghi pubblici, coibentare i soffitti, coprire marciapiedi e altro, proprio come avveniva in Italia. "C'è una forte resistenza alla messa al bando di una fibra mortale per colpa del profitto", spiega Niccolò Bruna che, con Andrea Prandstraller, ha realizzato per Arté e la Rete svizzera italiana il documentario "Polvere. Il grande processo all'amianto", presentato in anteprima giovedì sera. "Partendo dal processo di Torino abbiamo raccontato la storia dell'Eternit di Casale descrivendo la produzione dell'amianto in Brasile e India, dove è in aumento". In questi Stati la lobby dei produttori d'amianto ha la meglio sulle proteste, spiega Bruna: "Purtroppo l'esperienza italiana è un'eredità non facile da raccogliere".


Inviato da iPhone

mercoledì 27 aprile 2011

Deliri nucleari di un vecchio pazzo


Le parole pronunciate ieri da un vecchio pazzo segnano il confine tra la fine della democrazia in Italia e la sua, pur fioca, sopravvivenza :
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"Siamo assolutamente convinti che l'energia nucleare è il futuro per tutto il mondo. La moratoria è servita per avere il tempo che la situazione giapponese si chiarisca e nel giro di 1-2 anni l'opinione pubblica sia abbastanza consapevole da tornare al nucleare, l'accadimento giapponese a seguito anche di sondaggi che abitualmente facciamo ha spaventato ulteriormente i nostri cittadini, se fossimo andati oggi a quel referendum, il nucleare in Italia non sarebbe stato possibile per molti anni a venire".
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Il governo "responsabilmente ha ritenuto di introdurre questa moratoria per far sì che si chiarisca la situazione e che, magari, dopo un anno, forse due anni, si possa ritornare ad avere un'opinione pubblica consapevole della necessità di tornare all'energia nucleare, i molti contratti stipulati non vengono abrogati (tra EDF e Enel, ndr), stiamo continuando e decidendo di mandare avanti molti settori di questi contratti come quelli relativi alla formazione".
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In queste parole c'è il totale disprezzo del cittadino, della volontà popolare.
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La Cassazione deve pronunciarsi sul referendum contro il nucleare.
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Il Governo ha ritirato la legge per la costruzione delle nuove centrali per riproporla tra un anno (parole pubbliche del capo del Governo) nella speranza che il disastro di Fukushima venga dimenticato.
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E', come capirebbe anche un bambino di cinque anni, una presa per il culo.
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L'Ufficio centrale della Cassazione, presieduta da Capotosti, deve decidere se il referendum si terrà ugualmente. Se lo cancellerà sarà complice.
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L'articolo 39 della legge 352/1970 prevede "se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso".
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Qui, come è chiaro, non si vuole abrogare nulla, solo far passare il tempo.
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E' una tecnica mafiosa :
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"Quannu tira u ventu fatti canna !"(quando soffia il vento fatti canna) di un governo nuclearista e di un'opposizione collusa che ha Veronesi come testimonial (ex senatore del Pdmenoelle) e che ha fatto fallire l'accorpamento delle elezioni amministrative con i referendum con le sue assenze in aula (10 Pdmenolelle, 2 Idv).
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La Cassazione è di fronte a un bivio.
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O con i cittadini, o con un corruttore piduista e i suoi lacchè.
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Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?).
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Noi neppure.
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Ps: Le "Facce da nucleare" dell'opposizione che si sono assentate alla votazione per l'accorpamento delreferendum con le elezioni amministrative sono :
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Capano, Cimadoro, Ciriello, D'Antona, Farina, Fassino, Fedi, Gozi, Madia, Mastromauro, Porcino, Samperi.
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- Scarica il volantino delle "Facce da nucleare" e diffondilo
- Partecipa a "Spegni il nucleare" con il referendum su FB
 

domenica 17 aprile 2011

COMUNISMO CINESE 2011


Sul numero 16 del settimanale “l'Espresso” , edito il 21 aprile 2011, mi sono imbattuto in un articolo che tratta della mancanza di libertà in Cina, e delle relative repressioni, attuate da un regime sempre più feroce.
L'articolo, scritto da Federica Bianchi, è esaustivo e chiaramente dimostrativo di una realtà inaccettabile da chiunque abbia a cuore una seppur minima dignità dell'essere umano.
Le sopraffazioni e la tortura sono all'ordine del giorno, per chiunque non sia allineato con le disposizione di un regime che fa dell'arresto e della deportazione una sua caratteristica peculiare.

Propongo ora il testo di questo articolo, facendo presente a chi legge che tutto ciò che viene evidenziato, comunque, non ha impedito al circo mediatico del Gran Premio di Formula 1 di spostarsi in Cina, così come non ha sollecitato le coscienze europee a promuovere una qualunque iniziativa che boicottasse la Cina stessa.
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L'embargo, la rottura dei rapporti commerciali, o la presa di distanza dai criminali comunisti cinesi, sembrano non appartenere a nessun disegno di convergenza ideale e democratico, che tenda a dissociarsi da chi usa sistematicamente il terrore come arma di dominio sulle masse.

I nostri politici anzi, ricevettero il Presidente cinese nella sua ultima visita in Italia, accogliendolo con tutti gli onori dovuti ad un Capo di Stato, e il nostro Presidente Giorgio Napolitano si è prodotto in strette di mano e sorrisi, pur conscio del fatto che la mano che stava stringendo calorosamente era intrisa del sangue di migliaia di innocenti.


Silvio Berlusconi, e l'intero apparato politico nazionale, ci hanno abituato a tali performance, sia con criminali del calibro di Gheddafi, sia con dittatori quali quello cinese o quello russo.

I rapporti commerciali fanno da sfondo a questo quadro idilliaco, in un contesto da cui traspare la violenza pura e dispotica di personaggi che andrebbero perseguiti a livello internazionale, così come si fa con Bin Laden, di cui non sono certo migliori.

Il titolo dell'articolo di Federica Bianchi è : “Il Dragone taglia I GELSOMINI”.
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Ecco il testo :
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La messa in scena è finita.
Complici le rivolte in Nord Africa e la crisi economica, Pechino ha rinunciato a ogni parvenza di Stato di diritto, e senza falsi pudori ha preso a ricorrere alla violenza brutale contro qualsiasi minaccia al suo potere assoluto.
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“Noi cinesi stiamo vivendo nell'Era delle tenebre”, aveva detto qualche giorno fa l'arcinoto artista dissidente  Ai Weiwei  prima di venire afferrato, perfino lui, dai tentacoli delle forze di sicurezza :
“Viviamo in un boom economico che accresce gli standard di vita a molti, ma dimoriamo negli abissi della storia in termini di libertà artistica, di espressione e di istruzione.”
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Quando questa ondata di terrore sia iniziata non è chiaro.
“Io fisso la data allo scorso 8 ottobre, quando Liu Xiaobo vinse il premio Nobel per la Pace”, taglia corto al telefono John Kamm, il fondatore di Duihua, l'associazione non profit americana, che da anni media con le autorità cinesi il rilascio dei prigionieri politici.
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Ma già all'inizio del 2010 l'avvocato dei cristiani, Fang Yafeng, oggi anch'egli sparito tra i gangli della Polizia, aveva confessato all'”Espresso” che il 2009 era stato l'anno peggiore per i diritti umani, il rispetto delle leggi e la democrazia.
Ancora prima, nella primavera del 2008, a pochi mesi dalle Olimpiadi di Pechino, c'era stata la repressione nel sangue di migliaia di monaci tibetani e di altrettanti uiguri, la perseguitata minoranza di origine turca della provincia occidentale dello Xinjiang.
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La verità è che dalla fine del 2007 ogni anno ha visto la repressione dittatoriale del regime inasprirsi e il target dei cittadini da colpire allargarsi :
dai dissidenti e dagli attivisti ai loro avvocati;
poi ai blogger e agli artisti;
fino a comprendere qualsiasi cittadino non pensi e parli come una pecora di Stato.
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Se fino al 2008, i cittadini incriminati per “incitamento alla sovversione dello Stato” si aggiravano sui 300-400 l'anno, negli ultimi tre anni sono saliti a mille, mentre il numero dei prigionieri politici liberati è diminuito.
“E' da dodici mesi che non riusciamo più a mediare nessun rilascio”, spiega Kamm.
Al contrario, le pene delle sentenze più recenti si sono allungate.
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I dissidenti e gli attivisti dei tempi del massacro di Tiananmen nel 1989 ricevevano condanne di quattro anni : adesso chi si oppone al regime direttamente o indirettamente è gettato in cella per almeno dieci anni, come dimostrano i casi dell'attivista Liu Xianbin (25 marzo 2011) e del più celebre premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo (11 anni di carcere).
In molti sono torturati fino al punto da essere resi disabili come Ni Yulan, l'avvocatessa dei poveri che, dopo 50 ore di tortura in cui le hanno fracassato piedi e ginocchia, ha per sempre perso l'uso delle gambe, o Liu Guiying, la giovane avvocatessa che a Gennaio, durante un'udienza, è stata picchiata così forte dalla polizia del tribunale di Harbin, nel Nord del Paese, da perdere il figlio, che portava in grembo.
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L'inasprimento della repressione va di pari passo con l'accresciuta consapevolezza da parte delle autorità della potenziale vulnerabilità del regime dittatoriale.
“I cinesi stanno meglio di una volta ma hanno maggiori aspettative”, spiega Renee Zia, la direttrice di “Chinese Human Rights Defenders” :
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“Certo, non siamo nella situazione della Tunisia, ma gli avvenimenti del medio oriente stanno preoccupando molto Pechino che conosce i suoi problemi :
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dall'inquinamento agli espropri, dall'inflazione alla corruzione.
Se non riuscirà a trovare in fretta delle soluzioni concrete rischierà di doversi confrontare con migliaia di proteste”.
Secondo uno studio condotto dal professor Sun Liping dell'Università di Tianjing e pubblicato dal settimanale cinese “Economic Observer” i cosiddetti incidenti, ovvero le proteste scoppiate nel paese, nel 2010 sono state 180.000, ovvero circa 500 al giorno, rispetto alle 87.000 del 2005.
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Tra i motivi del malcontento ci sono una disoccupazione crescente soprattutto tra i giovani che non trovano impieghi adeguati al loro grado di istruzione, la corruzione dilagante dei burocrati del partito e lo spaventoso divario tra ricchi e poveri.
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Per dirla con le parole di una ragazza della benestante provincia del Fujian :
“Qui non esistono vie di mezzo : o guidi un'auto di lusso o vai ancora in bicicletta” , con tutti i problemi sociali che ne conseguono.
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Negli ultimi mesi lo spettro peggiore è diventata la crescita del 5 per cento dell'inflazione, soprattutto alimentare, che sottolinea ulteriormente il divario tra classi sociali, visto che a soffrirne sono solo le più deboli.
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Senza contare l'inarrestabile corsa dei prezzi del settore immobiliare (secondo fonti non ufficiali saliti ancora una volta del 20 per cento in un anno) dove nemmeno l'intervento del primo ministro Wen Jiabao a favore della costruzione di case popolari sembra avere sortito effetto.
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E, a dimostrazione che il futuro potrebbe essere meno roseo perfino in Cina, Wen ha annunciato che la crescita economica nel prossimo quinquennio potrebbe scendere dal 10 al 7 per cento, una soglia che gli analisti economici per anni hanno indicato come appena sufficiente per mantenere un livello di sviluppo economico tale da garantire la stabilità politica.
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Ce n'è quanto basta per mandare in fibrillazione il partito comunista nell'anno del suo novantesimo anniversario.
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Così da metà febbraio scorso, quando si è alzato il vento arabo delle rivoluzioni, pur imbrigliato dalla censura di Stato, ha trovato spiragli tra i twitter cinesi fino a trasformarsi in un abbozzo di rivolta.
Le eminenze grigie hanno reagito dando carta bianca alla polizia affinchè impedisse alle proteste di diffondersi.
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“Oramai in Cina la legge non esiste più”, spiega dagli Stati Uniti Watson Meng, il fondatore del sito d'opposizione Boxun sul quale sono apparsi i primi appelli alla fallita rivolta dei gelsomini, durante la quale, per mancanza di un numero sufficiente di attivisti, le centinaia di poliziotti presenti se la sono presa perfino con i giornalisti occidentali.
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“Fino a qualche mese fa avevi un'idea delle regole e di dove potevi spingerti per non mettere in pericolo la tua vita”, racconta Li Shuang, una giornalista cinese che lavora nell'ufficio del “New York Times” :
“Oggi ogni regola implicita è stata infranta.
Nessuno è più al sicuro.”
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In altri tempi Ai Weiwei non sarebbe mai stato arrestato.
Non solo perchè è forse uno dei cinesi più conosciuti al mondo, artista di talento e figlio di uno dei maggiori poeti del secolo scorso, ma anche perchè, seppur carattere ribelle e persistente combattente contro le ingiustizie del regime, non aveva mai attaccato frontalmente il diritto del partito comunista a governare.
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“I capitali occidentali non stanno capendo la portata di quanto sta succedendo in Cina”, spiega da Hong Kong Nicholas Bequelin di “Human Rights Watch Asia” :
“Il regime sta ridefinendo i limiti della libertà di opinione”.
Strumento principe : la violenza.
Il 10 febbraio l'avvocato cieco Chen Guangchen e sua moglie sono stati picchiati dalla polizia dopo che era circolato su internet un video che documentava la loro miserabile vita agli arresti domiciliari nello Shandong dal 2010.
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Il 16 febbraio gli avvocati Xu Xhiyong, Li Heping e Li Xiongbing sono stati posti agli arresti domiciliari per impedire loro di partecipare a un incontro tra uomini di legge in cui si sarebbe dovuto discutere su come aiutare il povero Chen.
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Dopo l'incontro, Jiang Tianyong, Teng Biao e Tang Jitian, tre celebri legali di Pechino, da anni sotto sorveglianza, sono letteralmente spariti, esattamente come era successo l'anno scorso a Gao Zhisheng, torturato per 50 giorni dalla polizia e poi scomparso nel nulla.
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Jitian, ex avvocato dello studio legale Anhhui che “l'Espresso” aveva incontrato poco dopo che gli venne revocata la licenza per impedirgli di lavorare, sarebbe riapparso nella sua casa nella provincia del Jilin, in pessime condizioni fisiche dopo essere stato torturato per giorni.
Un'ecatombe del diritto, sintomo di un regime non più preoccupato di comunicare al mondo un'immagine di rispettabilità, come era stato fino al 2008, ma solo determinato a sopravvivere con ogni mezzo.
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E non è un caso che i leader che saliranno al potere l'anno prossimo – da Xi Jinping a Bo Xilai – appartengono alla fazione dei più duri.
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Dietro le quinte, già da ora manovra il sistema di sicurezza il sessantottenne Zhou Yongkang, ufficialmente nono membro del Politburo, ma soprattutto ex capo della sicurezza pubblica tra il 2002 e il 2007, responsabile della repressione in Tibet e della sicurezza alle Olimpiadi.
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A lui è stato affidato un budget di 95 miliardi di dollari, un ammontare che per il secondo anno consecutivo supera quello dell'esercito, e che è ritenuto indispensabile per garantire la stabilità del sistema.
Un dettaglio per capire :
in barba all'articolo 37 della Costituzione che recita “ la libertà del cittadino è inviolabile”, la Cina possiede oltre sette milioni di telecamere di sorveglianza, e altri otto milioni saranno installate entro il 2015.
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Il solo comune di Pechino ha annunciato che spenderà quasi un milione di dollari per oltre duemila telecamere in teatri, cinema e bar e monitorarne contenuti e performance.
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“Il governo ha paura che basti poco per portare milioni di persone in piazza”, spiega Meng :
“Non posso dargli torto.
Entro un paio di anni potremmo avere un cambio di regime”.
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Kamm è più cauto :
“Non credo che avverrà così presto.
Ci sono ancora più cittadini contenti dei progressi economici che scontenti dei problemi.
Ma non sarei disposto a scommettere sulle mie parole.
Noi stranieri sulla Cina ci siamo sbagliati troppo spesso”.
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Vorrei ora sottolineare ed evidenziare come, in Cina, si ricorra abitualmente all'uso della tortura, per piegare la volontà dei dissidenti, e di coloro che non sono allineati alle disposizioni del regime.
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I capi che detengono il potere sono coloro ai quali il nostro Presidente Napolitano ha stretto la mano (le fotografie hanno fatto il giro del mondo : eccone una !! )
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.Ecco come, sul sito "Il Cannocchiale" vengono descritte alcune delle torture più in uso.
(Articolo di Hurricane_53)

Pochi anni fa in Cina fu lanciata in Cina una feroce persecuzione contro decine di milioni di praticanti del “Falun Gong”, un credo basato sui principi di Verità Compassione e Tolleranza.

Per “rieducarli” furono impiegati più di un centinaio di metodi di tortura: alcuni sono descritti in questo post.

Va aggiunto che queste barbarie furono applicate su anziani, ragazze adolescenti e donne incinta.

Alla luce di quanto sta accadendo in Tibet, esiste il ragionevole dubbio che le stesse tecniche verranno applicate per “rieducare” gli insorti di quel tormentato popolo.

Percosse e Droghe

Oltre alle tradizionali percosse, effettuate con bastoni o semplicemente prendendo a calci le vittime e possono provocare la morte del malcapitato; vengono iniettate delle droghe, a volte sono miscele ignote, che arrivano a danneggiare il sistema centrale nervoso, alcuni sono stati torturati fino a provocare alle vittime lo squilibrio mentale o la morte.
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Scariche Elettriche

Gli ufficiali della polizia e le guardie carcerarie usano bastoni - talvolta muniti di punte - elettrici ad alta tensione (fino a 300.000 volt) per provocare shock nelle parti sensibili ed in quelle intime delle vittime come : bocca, orecchio, palme delle mani, sotto i piedi e seni.

Il bastone elettrico può essere inserito nella vagina della donna; sposata o nubile, per i carcerieri non fa differenza.
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Talvolta, per aumentare la sofferenza, vengono usati simultaneamente più bastoni elettrici.

La tortura può durare per sette ore consecutive, con effetti devastanti.
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Ustioni

Le ustioni sono effettuate con le sigarette sul viso e lasciano il volto deturpato da cicatrici nere.

Viene praticata sulle giovani donne allo scopo di sfigurarle per tutta la vita.

Per questa pratica polizia e carcerieri si servono anche di accendini; oltre al volto (bruciando persino le sopracciglia), le bruciature vengono inflitte sul mento, alle cosce, o sulle parti intime.

A volte, i carcerieri mettono barre di ferro nel carbone ardente fino a farle diventare roventi e poi le usano per bruciare il petto e le cosce.

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Alimentazione Forzata
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Inflitta (ufficialmente a scopo umanitario) quando le persone cercano di attuare lo sciopero della fame: le vittime sono sottoposte all’alimentazione forzata con una miscela di acqua salata concentrata, sciroppo di amido, succo di peperoncino e acqua, medicine irritanti, liquore di alta gradazione, detersivo, urina ed escrementi e così via, diluiti con l’acqua.

Per evitare che la vittima resista, viene immobilizzata saldamente con corde, pesanti catene, o con le mani ammanettate dietro la schiena, viene anche messo sul capo un pesante “copricapo di ferro” per limitarne i movimenti.
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“Il letto dei morti”

Chiamato anche “il letto che allunga”: usato per punire chi fa lo sciopero della fame o quelli che rifiutano di rinunciare al loro credo.

Le mani e le caviglie della vittima vengono legate strettamente al “letto dei morti”, in modo che non possa muoversi.

Poi i carcerieri o anche altri detenuti circondano la vittima per sottoporla all’alimentazione forzata attraverso il naso.
Il supplizio può durare anche una ventina di giorni, durante i quali la vittima giace immobile sul “letto dei morti”; per far evacuare le donne viene loro inserito a forza un catetere nell’uretra.

Ad essa può essere associata la privazione del sonno e il lavaggio del cervello, che fanno aumentare la pressione sanguigna al punto di portare alla cecità.
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La vittima viene dapprima percossa da altri detenuti, la vittima viene accucciata, poi legata alle gambe ed ai piedi, mentre il collo viene a sua volta legato alle gambe, le mani sono poste dietro la schiena.

In questa posizione la vittima viene posta sotto un letto e sopra il quale vengono messi dei pesi o altre persone per comprimere la sua schiena. Alcuni dopo questa tortura sono rimasti paralizzati.
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Abusi Sessuali

Ufficiali della polizia e guardie carcerarie violentano singolarmente o in gruppo le donne, anche davanti alle altre detenute.

A volte, dopo averle denudate, le gettano nelle celle degli uomini.

Per fiaccare lo spirito delle vittime, scene di violenza vengono praticate per strada, davanti agli occhi della popolazione.
Le violenze sessuali vengono praticate anche inserendo oggetti, come lo sfollagente, nella vagina della vittime.
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Aborto forzato

Per poter “utilizzare” le donne incinte nei campi di lavoro forzato, le guardie le costringono ad abortire, senza badare al periodo di gestazione in cui si trovano o se vi siano rischi per la vita della vittima.
Le iniezioni vengono praticate in presenza degli aguzzini che assistono al dolore della vittima e la scherniscono mentre abortisce; dopo la pratica la donna non ha diritto nemmeno ad un breve riposo.
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La cella piena d’acqua

La cella piena d’acqua: la vittima viene posta nuda in una vasca di acqua lurida che arriva all’altezza del petto.

Chi è sottoposto a questa tortura non può vedere la luce del sole per lungo tempo.

Gli aguzzini decidono a loro piacimento la durata della tortura.

Nella peggiore delle ipotesi le vittime muoiono, nella migliore escono dalla stanza con il corpo ricoperto di ulcere.
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Congelamento, esposizione sotto il sole

In inverno, con temperature di 20°C e 30°C gradi sotto zero, gli aguzzini obbligano le vittime a stare in piedi all'esterno coperti solo con la biancheria intima.
In estate, le vittime vengono ammanettate e lasciate all'aperto sotto il sole cocente per ore; la tortura provoca svenimenti, ustioni sulla pelle e perdita di fluidi fisiologici.

In alcuni “corsi di rieducazione”, per nascondere le atrocità, i carcerieri usano metodi ancora più perversi : in piena estate, rinchiudono stipate in una piccolissima cella le vittime per lunghi periodi ed aprono il riscaldamento al massimo per soffocarle.
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I bastoncini di bambù

Lunghi bastoncini di bambù sono infilati sotto le unghie delle mani e/o anche dei piedi, causando alle vittime un dolore estremo.

Quando la vittima sviene e perde conoscenza per il dolore, i carnefici infilano nuovamente i bastoncini di bambù per costringerla a svegliarsi.

A volte per aumentare il dolore vengono infilati nella biancheria intima i mozziconi ardenti delle sigarette.
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Legare la vittima ad un mezzo
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I poliziotti legano la vittima dietro ad una macchina o a un motociclo, poi guidano il mezzo a tutta velocità, trascinandola, martoriandone il corpo di ferite e contusioni e spaccando le ossa.

Le ossa a volte escono dalle ferite provocate dal trascinamento.

Una variante consiste nel gettare prima la vittima nel fuoco e poi trascinarla con il mezzo.
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Lavoro in schiavitù

Le persone vengono imprigionate e costrette a lavorare in schiavitù, senza alcun compenso, in ambienti di lavoro pessimi.

Gli oggetti prodotti includono confezioni di bastoncini da pasto, giocattoli da regalo per i fast-food e prodotti per capelli.
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Bacchette “igenicamente testate”

Il Dipartimento di Spediziione dell'Ufficio d’Educazione al Lavoro di Pechino ha costretto la gente nel campo di lavoro a lavorare dalle 6:00 del mattino fino alle 9:00 di sera, a volte anche oltre mezzanotte.

Dozzine di detenuti vengono rinchiusi in una piccola stanza, le bacchette da imballare sono buttate sul pavimento e spesso calpestate dalle operaie.

Molte di loro hanno malattie della pelle, scabbia ed alcune erano tossicodipendenti o con malattie sessuali.

Alcuni detenuti nutrono ostilità nei confronti della società e quindi sporcano la punta delle bacchette, strofinandole sui piedi o su altre parti del corpo.

Il pagamento per il lavoro forzato è diventato un reddito per i poliziotti dei campi di lavoro.
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Candele di cera che emettono forti odori chimici

Da luglio 2001, i funzionari del campo di lavoro Longshan hanno costretto i detenuti a produrre candele di cera in vari colori.

Molti hanno sofferto di vertigini e debolezza ed hanno perso appetito dopo aver inalato gli odori tossici emessi dalle candele.
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Cuscini per i sedili d’automobile

Il campo di lavoro forzato di Jiamusi ha costretto i detenuti a produrre cuscini per sedili di automobile dalle 7 di mattina alle 8 di sera, senza pause.

Questo tipo di cuscini produce molta polvere, nociva alla salute, irrita il sistema respiratorio e causa pruriti in gola e difficoltà di respirazione.

Nell’area di produzione non c’erano misure di sicurezza.
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Gadget per fast food
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I funzionari del campo di lavoro forzato Hewan nella città di Wuhan hanno costretto i detenuti a produrre giocattoli da regalo per ristoranti fast food fuori della Cina.

L'officina apre alle 6 di mattina e rimane in attività fino alle 2 di notte.
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Bastoni per il controllo traffico e stuzzicadenti
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Il campo di lavoro Changlinzi ha costretto i detenuti con la vista migliore a saldare i bastoni per il controllo del traffico usati dalla polizia stradale.

I bastoni sono esportati in Corea del sud.
I detenuti con la vista meno buona sono costretti a fare stuzzicadenti.

Nel campo si lavora fino a 16-17 ore al giorno.

Chi non lavorare velocemente finisce col lavorare giorno e notte.
Spaghetti e pane di farina di mais sono gli unici cibi disponibili.

I detenuti subiscono la torture di scosse elettriche e percosse.

Ed il mondo "civile" tace ....
( Rielaborato da Hurricane 53, tratto da Clearwisdom.net)

sabato 9 aprile 2011

Contributi per efficienza energetica e rimozione dellʼamianto

Sono stati posticipati i termini per la presentazione delle domande per la rimozione dellʼamianto, l'installazione di impianti fotovoltaici e la qualificazione energetica degli edifici adibiti a sedi di lavoro. Le domande andranno presentate dal 16 maggio al 16 giugno 2011.
I contributi, previsti dal bando POR- FESR Asse III Attività III.1.2 a valere sui fondi europei, sono volti alla qualificazione ambientale e promuovono la rimozione e lo smaltimento dei manufatti contenenti cemento-amianto, la qualificazione energetica attraverso la realizzazione di interventi di risparmio energetico nella climatizzazione degli edifici, nonché lʼautoproduzione e lʼautoconsumo di energia attraverso lʼinstallazione di impianti fotovoltaici. Tali interventi sono realizzabili secondo le seguenti modalità: 
a) interventi di rimozione e smaltimento amianto + interventi di coibentazione degli edifici climatizzati + interventi per lʼinstallazione e messa in esercizio di impianti fotovoltaici;
b) interventi di rimozione amianto + interventi di coibentazione degli edifici climatizzati (con le spese per lʼinstallazione e messa in esercizio dellʼimpianto fotovoltaico totalmente a carico dellʼimpresa senza alcun contributo regionale);
c) interventi di rimozione amianto + interventi per lʼinstallazione e messa in esercizio di impianti fotovoltaici;
d) interventi di rimozione amianto (con le spese per lʼinstallazione e messa in esercizio dell'impianto fotovoltaico totalmente a carico dellʼimpresa senza alcun contributo regionale).
Il contributo previsto nel bando è concesso secondo modalità differenziate a seconda della tipologia dʼintervento. Potrà quindi essere un contributo in conto capitale che dovrà essere successivamente restituito nella misura del 50% dellʼimporto, oppure sotto forma di contributo in conto capitale a fondo perduto.
Anche lʼimporto del contributo dipende dalla tipologia dellʼintervento, ma si attesta in genere nella misura massima del 45% delle spese ammissibili.
Qualunque sia lʼimporto dellʼinvestimento, il regime di aiuto prescelto nonché la misura percentuale applicata, il contributo concedibile per ciascun beneficiario non potrà comunque eccedere, per lʼintero complesso di interventi
ammessi, la somma complessiva di Euro 150.000,00.
Possono accedere ai contributi previsti nel bando le imprese singole, i consorzi, le società consortili, le cooperativa di piccole o medie imprese aventi la loro sede nel territorio dellʼEmilia-Romagna.

Città di Transizione: mettere radici a Granarolo

Continua il nostro percorso tra le città di Transizione italiane. 

Granarolo dell'Emilia, la seconda realtà italiana ad aderire al movimento delle Transition Towns subito dopo Monteveglio, ce la racconta Daria Casali. 

Una storia di collaborazione sul territorio, all'ombra dell'inceneritore.

di Deborah Rim Moiso - 4 Aprile 2011

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Una specificità della Transizone è quella di diffondere informazioni e proporre alternative.
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Daria Casali e Marco Caccia
, che tengono tra l'altro un blog che si chiama, manco a dirlo, Marco & Daria, non sono certo persone timide nel muoversi nella rete, la grande rete virtuale fatta di post e commenti, associazioni e gruppi di discussione.
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Forse per questi due, mi viene da pensare, incontrare il Movimento di Transizione è stato un richiamo alla fisicità del territorio.
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È Daria, tra le iniziatrici del Gruppo Guida di Granarolo in Transizione, la seconda realtà italiana ad aderire al movimento delle Transition Towns subito dopo Monteveglio, a raccontarmi la loro storia e i loro progetti. 
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All’inizio, nel 2008, eravamo in quattro, tutti nuovi arrivi a Granarolo”.
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La prima periferia di Bologna offre servizi e spazi verdi, ci sono anche molte realtà associative attive, ma ci vuole tempo per farsi un’idea di chi e cosa ti sta intorno.
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Per trovare interlocutori e costruire collaborazioni.
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Dell'inceneritore invece ci si accorge subito: si vede dalla finestra...
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Ma come si sente spesso dire a chi è coinvolto nel movimento di Transizione, anche Daria ribadisce : “non ne abbiamo fatto la nostra battaglia.
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Però riconosciamo che c'è una grande difficoltà ad ottenere informazioni corrette sulle emissioni, la salute, l’energia effettivamente prodotta.
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E ci interessa parlare delle alternative, se esistono, se sono pronte, se sono economicamente sostenibili”.

È anche questa un'attrattiva e una specificità della Transizione: diffondere informazioni e proporre alternative, piuttosto che impegnarsi in proteste e battaglie.
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Questo naturalmente senza screditare chi le fa.
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L'idea alla base di questo atteggiamento è ben espressa dall'eco-psicologa Joanna Macy quando parla (nel video sotto, ndr) delle diverse dimensioni del cambiamento: ci sono le forze che agiscono per rallentare la distruzione e quelle che contemporaneamente lavorano per mettere in piedi strutture alternative, che si sostituiscano progressivamente a quelle attuali, evidentemente in crisi.
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La Transizione dovrebbe far parte di questo secondo mondo: costruire alternative.
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 Uno dei modi in cui lo fa, molto evidente nel processo di Transizione a Granarolo, è cercando la collaborazione, invece di competere.
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Alcune proposte - ricorda Marco - erano già presenti a Granarolo quando abbiamo cominciato ad osservare la situazione.
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Tra tutte, la Banca del Tempo, a cui abbiamo semplicemente aderito, cercando di proporre eventi e sinergie per amplificarne la rilevanza.
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Fare rete con l’esistente è fondamentale, non serve creare alternative dove ci sono già, piuttosto serve individuarle, valorizzarle, lavorare insieme a loro”.
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La prima cosa che i 'transizionari' di Granarolo fanno, quindi, è creare una struttura di approvvigionamento alimentare alternativa laddove manca : fondano un GAS, collegandosi però all’esperienza decennale del GASBo di Bologna e quindi, ancora una volta, lavorando all’insegna di apertura e collaborazione.
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Stiamo lanciando un progetto di informazione sulle energie rinnovabili insieme ad una cooperativa sociale della zona, vogliamo parlare di fotovoltaico ma anche del risparmio permesso dall'illuminazione, anche pubblica, a LED.
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Vogliamo estendere la cooperazione anche agli uffici del Sindaco e a negozi e supermercati locali, per una campagna sull'acqua bene comune”.
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E ancora, collaborazioni all'esterno del territorio comunale, tramite contatti con i paesi vicini.
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Vogliamo essere disponibili a parlare con gli altri, raccontare la nostra esperienza, offrire sostegno - anche solo sapere che c'è qualcun altro che si appassiona ai temi che ti appassionano è un supporto importante”.
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E si torna ad argomenti al cuore del processo di Transizione: il lavoro di gruppo e la responsabilità di farne parte.
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Daria e Marco stanno anche facendo un percorso di transizione personale, completo di bicicletta elettrica e stufa a legna, per cui mi viene da chiedere :
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“Ma un gruppo, perché?”
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"La presenza di più persone garantisce maggiori risorse, che siano spazi, beni materiali o, soprattutto, le idee".
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Lavorare con il gruppo è una responsabilità, ti prende tempo ed è difficile riuscire a non assumersi troppi incarichi, a delegare.
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Ma è anche una grandissima risorsa, soprattutto perché significa che il lavoro che fai non si disperde, non finisce tutto se tu vai via, ti trasferisci, cambi vita - hai contribuito a mettere in piedi un sistema sul territorio, un sistema che continuerà ad evolversi anche senza di te.
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Inoltre la presenza di più persone garantisce maggiori risorse, che siano spazi, beni materiali o, soprattutto, le idee. Le idee diventano molto più ricche”.
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Il gruppo di Granarolo è ora formato da dieci persone che si incontrano due volte al mese. “Ci siamo conosciuti soprattutto tramite il GAS e la Banca del Tempo e siamo molto affiatati, fortunatamente…
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Per quest'anno ci auguriamo di allargare il gruppo, magari per fine anno saremo in trenta !”.
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Un obiettivo perseguito tramite laboratori e incontri pratici, dal compostaggio all'orto sinergico, affiancati da momenti di approfondimento, visione di documentari e conferenze.
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Quando l’interesse per la Transizione sarà abbastanza alto e diffuso nella comunità, il gruppo intende sciogliersi in tanti sottogruppi tematici, per esempio sul cibo o sull’energia.
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Stiamo passando dalla fase in cui era prioritario accrescere la nostra stessa consapevolezza a un momento in cui sentiamo l’esigenza di fare cose pratiche, visibili”.
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Come il GAS, appunto, che per ora è il più forte indicatore che, a Granarolo, qualcosa si sta muovendo.
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Cinquanta famiglie che spostano i propri consumi, che parlano di biologico, di acquistare dalle cooperative, di scegliere prodotti locali.
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Insomma, a volte guardando indietro ci sembra di non aver fatto poi molto… ma poi ci accorgiamo che stiamo lentamente mettendo radici, lasciando un'impronta sul posto in cui viviamo
”.
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.Tratto da : http://www.ilcambiamento.it/transition_town/granarolo_citta_transizione.html
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Christian B.
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