Articolo 21 della Costituzione Italiana

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domenica 16 novembre 2014

Funghi del territorio : ARMILLARIELLA MELLEA

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CLASSIFICAZIONE TASSONOMICA :
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REGNO : Fungi
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DIVISIONE : Basidiomycota
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CLASSE : Basidiomycetes
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ORDINE : Agaricales
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FAMIGLIA : Marasmiaceae
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GENERE : Armillaria
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SPECIE : Armillariella mellea (Vahl) P. Kumm
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L’Armillariella Mellea, abbastanza comune anche nei nostri territori, è conosciuto, come spesso succede in micologia, con parecchi nomi “volgari” a seconda della zone di nascita.
E’ chiamato infatti “chiodino”, oppure “famigliola buona”, o ancora “rigagno”, e in altri svariati modi, dai raccoglitori locali delle varie località in cui appare.
Questo fungo, pur essendo tossico da crudo, viene consumato previa bollitura, divenendo infatti un ottimo commestibile solamente dopo cottura.
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L’Armillariella mellea contiene tossine termolabili (emolisine) che vengono cioè rese innocue dalla temperatura a 65/70 gradi centigradi.
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L’acqua di cottura deve sempre essere buttata e va consumato solo il cappello.
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Sembra che il congelamento del fungo da fresco fissi le emolisine in maniera tale da impedire che poi, anche dopo prolungata cottura, si riesca a smaltirne i principi attivi, per cui si potrebbe incorrere in questo caso in disturbi gastrointestinali di breve latenza.

Il fenomeno appare quindi anche nel caso in cui i carpofori di Armillariella siano stati raccolti dopo qualche gelata notturna.
Il sapore di questi funghi cambia a seconda dell’habitat in cui crescono, rivelando caratteristiche migliori per quelli nati sotto latifoglie, e meno interessanti per i funghi nati sotto conifere.
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Le varietà più amare di questo fungo risultano essere meno digeribili e non da tutti tollerabili.
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Se ne consuma solamente l’estremità superiore del gambo, insieme al cappello, poiché il resto del gambo è coriaceo ed indigesto.
Una importante caratteristica dell’Armillariella mellea è quella di essere un fungo parassita, che cresce cioè a discapito della pianta, di cui provoca infatti marciume radicale fibroso, distaccamento della corteccia dal legno sottostante, appassimento delle chiome, e successiva morte della pianta ospite.
Attraverso le “ife”, cioè i cordoni non visibili di micelio presenti sotto il terreno, costituenti la vera “pianta fungina”, l’Armillariella si propaga nel sottosuolo, passando dalle piante malate a quelle sane.
Hipholoma fasciculare
Dopo la morte della piante il “chiodino” è in grado di continuare il suo ciclo vitale sullo stesso legno anche come organismo saprofita, cioè che si nutre di materia organica morta, o in decomposizione.
In letteratura si hanno notizie di fruttificazioni di Armillariella mellea, come quelle situate in una foresta dell’Oregon, che si estendono per 9  chilometri, e che sembrano abbiano 1500 anni di età.
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Generalmente il cappello del “chiodino” assume aspetti diversi dal punto di vista cromatico, in relazione all’essenza vegetale su cui si sviluppa.
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Possiamo infatti trovarlo di colore giallo miele sui Pioppi, sulle Robinie, e sui Gelsi.
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Può assumere un colorito brunastro se cresce sulle Querce, oppure tonalità grigio nerastre sul Sambuco, e infine con sfumature bruno rossicce sulle conifere.
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Ad esempio, su legno di Peccio si ritrova con gambo rigonfio e bulboso ed un colore molto scuro, bruno seppia, mentre su faggio raggiunge taglie enormi, con cappello molto carnoso e colore scuro rossiccio.
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Può essere confuso con altri funghi commestibili, quali la Clitocybe Tabescens o la Pholiota Mutabilis, ma anche con l’Hipholoma fasciculare, detto anche “falso chiodino”, velenoso.
Quest’ultimo però si differenzia dal “chiodino” per la mancanza di anello.
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L’armillariella mellea è un fungo che può arrivare alle dimensioni, in altezza, di 15 cm, con un diametro del cappello fino a 8 cm, ed è dotato di un anello nel gambo, persistente, bianco e striato nella parte superiore, chiamato armilla.

La “famigliola buona” è un fungo comune quindi, ma con una particolarità molto interessante : quella di essere bioluminescente, cioè di emettere una tenue luce propria di notte.
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Secondo alcune teorie la luminescenza sarebbe da porre in relazione all’utilità che la specie ne deriverebbe in campo riproduttivo, usandola allo scopo di attirare moscerini e insetti di vario tipo, utili alla dispersione delle spore.

Secondo altri scienziati, invece, non ci sarebbe alcuna attinenza a tutto ciò, ma si tratterebbe semplicemente di un fenomeno di natura strettamente chimica, dovuto a particolari reazioni di tipo ossidativo che avvengono nelle cellule durante la
respirazione.
Il micelio luminescente, penetrando nella corteccia degli alberi, rende il legno a sua volta fosforescente, amplificando l’effetto visivo della luminescenza.
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E.B.
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