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venerdì 28 settembre 2018

Funghi del territorio : l'AMANITA MUSCARIA

Funghi del territorio : AMANITA MUSCARIA
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CLASSIFICAZIONE TASSONOMICA :
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REGNO :  Fungi
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DIVISIONE : Basidiomycota
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CLASSE :  Agaricomycetes
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ORDINE :   Agaricales
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FAMIGLIA :  Amanitaceae
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GENERE :  Amanita
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SPECIE : Amanita muscaria (Lam., 1783)
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Nella precedente e superata classificazione tassonomica questo fungo era chiamato anche Agaricus muscarius o Agaricus pseudo aurantiacus.
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A seconda delle località di raccolta, è comunemente chiamato anche con i seguenti nomi volgari :
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Ovolo malefico, Ovolaccio, Tignosa moscaria, Cocco matto, Moscaria, Cappero allucinogeno.
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L’epiteo “muscaria” deriva dall’antica usanza di stordire le mosche mettendo sulla tavola un piatto con i cappelli imbevuti di latte, poichè le tossine sono contenute principalmente nella cuticola del cappello.
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Questo meraviglioso fungo che spicca nei boschi per la sua bellezza, è tossico ed è responsabile secondo alcuni autori, se ingerito, della sindrome muscarinica, così chiamata anche se in effetti nei carpofori di Amanita muscaria la muscarina è presente in tracce clinicamente non significative, mentre è più ravvisabile secondo altri una sindrome di tipo panterinico, legata a principi attivi che agiscono sul Sistema Nervoso centrale.
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I principi attivi neurotossici sono presenti sia sulla cuticola che nello strato sottocuticolare del carpoforo e in particolare sono stati isolati tre alcaloidi strutturalmente correlabili all’isossazolo, denominati :
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acido ibotenico, muscimolo, e muscazone, i quali sono tossine termostabili e quindi resistenti alla cottura.
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Questi derivati sono contenuti nell’Amanita muscaria in proporzione di 180 mg per 100 g di fungo.
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Il muscimolo in particolare è la sostanza più attiva e responsabile della manifestazione di effetti allucinogeni, mentre l’acido ibotenico viene rapidamente eliminato con le urine nel giro di 20/90 minuti, e in parte trasformato anch'esso in muscimolo.
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Il Muscazone sembra non avere effetti tossici, mentre le altre due tossine (derivati dell’isossazolo) agiscono sul Sistema Nervoso Centrale inducendo uno stato di intossicazione simile a quello prodotto dall’alcool etilico, con fenomeni di eccitazione, sedazione, e allucinazioni.
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Le allucinazioni prodotte sono sia di tipo uditivo che visivo, unite a sonnolenza, aritmia bradicardica (rallentamento del battito cardiaco), deliro, perdita di coscienza e convulsioni.
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La letteratura su tale argomento racconta che i guerrieri vichinghi ne facessero uso prima delle battaglie per ottenere uno stato di “frenesia” (dovuto al muscimolo), mentre alcune popolazioni artiche e della Siberia occidentale, come le popolazioni di etnia Lappone, Khanty, Chukchi, Koryak (di stirpe mongola), ed altri, facevano uso di Amanita muscaria sia in ambito religioso che per migliorare le loro prestazioni psico fisiche.
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L’ambito religioso e il desiderio di comunicare con il Regno dei morti e degli spiriti, così come vedere nel passato o prevedere il futuro, hanno indotto al consumo di Amanita muscaria le popolazioni sopra citate durante i loro cerimoniali.
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Anche nel continente americano due popolazioni insediate al confine tra Stati Uniti e Canada, gli indiani Chippewa e i Dogrib, usavano l’Amanita muscaria nei loro rituali sciamanici, così come presso gli indigeni guatemaltechi del centro america (che chiamavano il fungo con il nome di Kalulya) e presso i Maya di lingua tzetzal del Messico (che lo chiamavano yuy chauk, cioè “fungo dei lampi”).
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Anche oggi però il consumo del carpoforo è diffuso, e non solo limitatamente a tali etnie, ma anche presso coloro che essendo alla ricerca di sensazioni  e di allucinazioni visive e uditive reperiscono il prodotto secco attraverso l’offerta presente sul web, che risulta essere perfettamente legale.
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E’ bene sottolineare chiaramente che l’avvelenamento indotto dall’Amanita muscaria , così come altre specie di Amanita, definito anche sindrome micoatropinica” è caratterizzato da sintomi simili a quelli indotti da piante atropiniche quali Atropa belladonna, Datura stramonium e Hyosciamus niger.
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Le prime manifestazioni dell’avvelenamento comprendono le vertigini, la difficoltà nel mantenere l’equilibrio e nel coordinare i movimenti e la sonnolenza.
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Segue una fase di eccitamento psicomotorio accompagnato da euforia e ansia, ed è in questa fase che si manifestano anche le allucinazioni.
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Le fasi di eccitazione e di sonnolenza possono alternarsi più volte.
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Si ha inoltre secchezza cutanea e delle mucose, tachicardia (come già accennato), riduzione della motilità intestinale, ipertermia, spasmo dello sfintere vescicale, arrossamento del volto e midriasi.
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Spesso possono comparire anche disturbi gastrointestinali quali nausea, vomito e diarrea.
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Negli avvelenamenti gravi possono manifestarsi tremori o convulsioni con perdita della coscienza, perdita dei riflessi e coma.
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Le intossicazioni nell’adulto sono raramente di grave entità, tuttavia può accadere che, in preda allo stato di agitazione maniacale, l’assuntore possa nuocere a se stesso o agli altri.
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Nonostante tutte queste caratteristiche, non certo invitanti, in alcune zone d’Italia l’Amanita muscaria viene ugualmente consumata, per semplici finalità di sperimentazione culinaria e gastronomica, dopo essere stata sottoposta ad un trattamento di de-tossificazione che prevede una lunga bollitura, la salamoia, e diversi prolungati lavaggi.
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Ritengo che comunque, potendo disporre di molte altre specie fungine ottime e commestibili, non sia consigliabile ricorrere al consumo dell’Amanita muscaria, classificandola tra le specie tossiche e da evitare.
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La presenza dell’Amanita muscaria nei boschi non passa inosservata, sia per la vivacità dei suoi colori, sia perché i funghi raggiungono l’altezza anche di 25 cm da terra, e un diametro del cappello di più di 20 cm.
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Nell’immaginario collettivo l’Amanita muscaria è associata a ricordi del’infanzia (i bambini infatti lo disegnano spesso, con il suo cappello rosso e i puntini bianchi) per la dimensione fiabesca in cui è collocato, rappresentato infatti come casa degli gnomi e delle fate e come il fungo della favola di "Biancaneve e i sette nani".
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Il mondo magico si ricollega quindi alle origini ancestrali sciamaniche che, pur rimaste sopite, rimangono presenti ancora oggi.
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Dal punto di vista strutturale, come si evince anche dalle immagini, il gambo è cilindrico e slanciato, di colore bianco e con un vistoso anello nella parte alta, bianco , membranoso e persistente, un pò striato, mentre alla base è nettamente bulboso, pieno poi cavo, spesso squamuloso-forforaceo. 
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Le lamelle sono fitte, libere, di colore bianco, che talvolta volge al giallo-limone, con lamellule.
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Le lamelle sviluppano l'imenio, la parte fertile del fungo dalla quale si formano le spore.
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Il cappello, che come in tutti i carpofori rappresenta la parte più interessante, essendo quello immediatamente visibile, ha un diametro che varia da 8 a 20 cm circa di diametro,  ha una colorazione che spazia dal  rosso vermiglio al rosso acceso, raramente giallastro, ed è cosparso di verruche bianche o gialle, che sono il rimanente del velo generale da cui era ricoperto inizialmente.
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L'orlo è liscio, ma striato nel senso delle lamelle, mentre la cuticola è viscida a tempo umido, e facilmente staccabile dal cappello. 
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Allo stato giovanile è chiuso a forma di uovo, a forma emisferica, mentre una volta maturo si apre assumendo la consueta forma a fungo.
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Esiste una varietà dell'Amanita muscaria denominata Amanita aureola (Kalchbr.) Quèl. 1886, che si distingue dalla forma classica per la colorazione del cappello, che si presenta arancione e privo delle caratteristiche verruche bianche.
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Questa variante è stata causa di pericolosi fraintendimenti perché confusa anche dai più esperti con Amanita Caesarea per via del cappello aranciato e privo, appunto, delle verruche bianche.
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(Ricordiamo che l'Amanita Caesarea ha però le lamelle, il gambo, e l'anello di colore giallo).
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L'Amanita muscaria cresce in estate e in autunno (da maggio a novembre), sotto conifere e latifoglie, soprattutto nei boschi di montagna (latifoglie e aghifoglie) ma anche in habitat mediterraneo, e in particolare sotto Eucaliptus con terreno acido.
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Dissenso


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