Articolo 21 della Costituzione Italiana

Articolo 21 della Costituzione Italiana:
"TUTTI HANNO DIRITTO DI MANIFESTARE LIBERAMENTE IL PROPRIO PENSIERO CON LA PAROLA, CON LO SCRITTO E OGNI ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE. LA STAMPA NON PUO' ESSERE SOGGETTA AD AUTORIZZAZIONI O CENSURE"
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giovedì 20 novembre 2014

Sindaco Merola condannato dalla Corte dei conti.

Il sindaco di Bologna Merola è stato condannato per danno erariale dalla Corte dei conti, insieme a giunta e due dirigenti Iannnucci e Angeli per 30.000 euro di danni. 
Qui il fuori onda della dirigente Iannucci che dice «al massimo pagheremo 100 euro»

Non sempre vincono i burocrati di partito. A volte vince il giornalismo.


Tre anni fa raccontai del suo capo di Gabinetto Marco Lombardelli assunto solo con la terza media ma con uno stipendio da alto dirigenti con laurea. 
Qui l’articolo che originò il caso e le dimissioni di Lombardelli. 

Fonte: LINK


lunedì 10 novembre 2014

INDAGATI 41 CONSIGLIERI REGIONALI DELL'EMILIA-ROMAGNA

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I nodi stanno “venendo al pettine”, per quanto riguarda le indagini sui presunti rimborsi falsi dei consiglieri regionali.
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La Magistratura ha notificato infatti gli avvisi di fine indagine a 42 consiglieri, nell’inchiesta sui rimborsi pubblici in cui compaiono ipotesi di reato quali il peculato e la truffa.
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I Gruppi consiliari sono tutti coinvolti, nessuno escluso, per un totale contestato di oltre due milioni di euro.
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La classifica, in relazione alle cifre contestate agli indagati, è la seguente :
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1° POSTO
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Partito Democratico
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18 indagati,  per un totale di 940.000 euro.
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Barbieri Marco
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Carini Marco
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Casadei Thomas
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Ferrari Gabriele
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Fiammenghi Vladimiro
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Garbi Roberto
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Marani Paola
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Mazzotti Mario
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Monari Marco (capogruppo)
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Montanari Roberto
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Moriconi Rita
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Mumolo Antonio
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Pagani Giuseppe
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Pariani Anna
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Piva Roberto
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Richetti Matteo
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Vecchi Luciano
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Zoffoli Damiano
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2° POSTO 
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ITALIA DEI VALORI  
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2 indagati, per un totale di 423.000 euro
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Barbati Liana (capogruppo)
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Mandini Sandro
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3° POSTO
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IL POPOLO DELLA LIBERTA'
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11 indagati, per un totale di 205.000 euro
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Aimi Enrico
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Bartolini Luca
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Bazzoni Gian Guido
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Bignami Galeazzo
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Filippi Fabio
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Leoni Andrea
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Lombardi Marco
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Malaguti Mauro
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Pollastri Andrea
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Vecchi Alberto
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Villani Luigi Giuseppe (capogruppo)
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4° POSTO
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FEDERAZIONE DELLA SINISTRA
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1 indagato, per un totale di 151.000 euro
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Sconciaforni Roberto (capogruppo)
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5° POSTO
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LEGA NORD
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3 indagati, per un totale di 135.000 euro
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Bernardini Manes
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Cavalli Stefano
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Corradi Stefano
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Manfredini Mauro (capogruppo), nel frattempo è deceduto
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6° POSTO
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MOVIMENTO 5 STELLE
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2 indagati, per un totale di 98.000 euro
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ex consiglieri (espulsi) Andrea De Franceschi  (ex capogruppo) e Giovanni Favia
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7° POSTO
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SEL - VERDI
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2 indagati, per un totale di 77.000 euro
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Meo Gabriella
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Naldi Gian Guido (capogruppo)
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8° POSTO
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UNIONE DEMOCRATICI CRISTIANI
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1 indagato, per un totale di 31.000 euro
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Noè Silvia (capogruppo) (cognata di Pierferdinando Casini)
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9° POSTO
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GRUPPO MISTO 
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1 indagato, per un totale di 27.000 euro
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Riva Matteo (capogruppo) in concorso con l’impiegata del gruppo Bolino Rossella
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I magistrati della Procura di Bologna, il PM Morena Piazzi e Antonella Scandellari, e il Procuratore aggiunto Valter Giovannini, hanno contestato le accuse di peculato ai Capigruppo, non solo per le spese in proprio, ma anche per il mancato controllo dei rimborsi percepiti dai Consiglieri del loro gruppo, e per non aver loro impedito di fare del denaro pubblico un uso non pertinente.
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Nell’elenco delle cosiddette “spese pazze” figurano soprattutto i rimborsi chilometrici e i pasti, oltre che dei regali, alcuni festeggiamenti per compleanni, svariate cene, e perfino un “sexy toy” del costo di 80 euro acquistato in un sexy shop, il cui importo è stato messo tra le spese di cui ottenere il rimborso  da una delle consigliere indagate.
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Alcune curiosità :
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Silvia Noè (UDC) mise a rimborso le ricevute di due cene di beneficenza.
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Thomas Casadei (PD) mise a rimborso due scontrini da 50 centesimi per i wc pubblici.
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Dissenso
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venerdì 3 ottobre 2014

"Terremerse, Errani falsificò la relazione in vista delle elezioni"

Vasco Errani ordinò ai suoi dirigenti di mentire deliberatamente al fine di non perdere consenso elettorale in vista delle imminenti elezioni regionali in cui si sarebbe candidato per la terza volta. 
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E' questo il concetto chiave delle motivazioni (depositate ieri) della sentenza con cui la Corte d'appello l'8 luglio scorso ha condannato l'ex governatore a un anno per falso ideologico e i due dirigenti regionali Filomena Terzini e Valtiero Mazzottia un anno e due mesi per falso e favoreggiamento.
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La vicenda è quella relativa aTerremerse, la cooperativa agricola presieduta dal fratello maggiore di Vasco, Giovanni Errani, che ottenne illecitamente nel 2006 un finanziamento da un milione di euro dalla Regione per costruire una cantina vinicola a Imola. 
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A fine 2009 'Il Giornale' raccontò la vicenda ed Errani rispose mandando in Procura una relazione in cui si diceva che l'iter era regolare. 
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La relazione per il pm Antonella Scandellari fu un tentativo di depistaggio di Errani e dei dirigenti autori dell'atto.
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In primo grado l'ex governatore era stato assolto perché il gup Bruno Giangiacomo, pur ritenendo la relazione «frettolosa, negligente e superficiale», giudicò non ci fosse dolo da parte di Errani. 
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La Corte d'appello (giudice relatore Domenico Pasquariello, presidente Pierleone Fochessati) riconosce al gup di aver correttamente ricostruito i fatti, ma arriva a conclusioni opposte. 
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«La Corte ritiene che la relazione – scrivono – venne redatta con contenuto volutamente omissivo e fuorviante, in modo da fornire una falsa rappresentazione della regolarità della procedura relativa all'erogazione del contributo a Terremerse, al fine - di natura politica - di non alienare consensi sull'operato dell'amministrazione e del suo presidente con ciò dovendo nascondere gli illeciti operati da Terremerse e quindi da Giovanni Errani».
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Una deliberata menzogna, dunque, il cui movente era chiaro :
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«Occorre richiamare la genesi della redazione chiara e incontestata, e riferibile esclusivamente alla decisione e alla volontà del Presidente e che scopo dell'atto era, come riferito da tutti i soggetti coinvolti, quello di dare una risposta immediata e demolitoria alle accuse che avevano trovato ampia eco mediatica in periodo pre-elettorale (elezioni regionali del 2010). 
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Il fine dell'atto... era esclusivamente quello di tutelare a ogni costo l'immagine pubblica e politica del presidente, fine raggiungibile solo nascondendo le evidenti responsabilità di Giovanni Errani. 
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L'evidenza individualizzante del movente è coerente solo con la determinazione in capo al presidente Errani di far svolgere ai dirigenti un accertamento non imparziale, ma che avesse invece l'effetto di consentire di affermare che tutto era in regola» 
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di Gilberto Dondi (Bologna - il Resto del Carlino - 3 ottobre 2014)
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lunedì 22 settembre 2014

Multano la festa dell’Unità nazionale ma sotto accusa finiscono loro.


Clima da caccia alle streghe o stile romanzo di Dan Brown nella Guardia Forestale.
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Alcuni giorni fa quella di Bologna ha notificato una denuncia penale ai responsabili della Festa dell'Unità Nazionale per violazioni rilevanti in ambito agroalimentare.
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Nei primissimi giorni di settembre la Forestale aveva eseguito un controllo tra le cucine della festa Pd che quest'anno, come spesso accade, si è tenuta nel capoluogo emiliano.
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In diversi ristoranti, tra cui il Porcino Malefico e il Porcino Divino, sono risultati presenti cibi congelati (soprattutto carne e pesce), aspetto che non veniva indicato nei menù passando per tanto per freschi.
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Su delle cassette di funghi mancava invece il certificato di provenienza e i funghi, si sa, possono essere molto pericolosi, quindi sono stati sequestrati.
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In questi casi rischia la condanna penale per tentata frode nell'esercizio del commercio, il ristoratore che non indica nel menù che gli alimenti serviti sono surgelati, dice la sentenza n. 44643 della Corte di Cassazione.
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Per il responsabile della festa di partito, Fabio Querci, «è stato solo un controllo di routine. Si tratta di questioni amministrative che non riguardano la qualità dei cibi serviti alla nostra festa» ha spiegato a La Repubblica di Bologna «in tanti anni non erano mai venuti qui al Parco Nord, questo mi ha sorpreso».
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Beh, questioni amministrative proprio no, infatti è scattata la denuncia penale inviata alla Procura della Repubblica. 
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Ma esponenti della forestale e sindacalisti del Corpo riferiscono anche di pressioni dall'alto.
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In diversi parlano addirittura di una telefonata del ministro alle politiche agricole, Maurizio Martina, anche lui del Pd, che con il suo dicastero sovrintende lo specifico Corpo di polizia ambientale.
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Il ministro avrebbe chiamato il capo nazionale della Forestale, Cesare Patrone, presentandogli delle rimostranze.
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Patrone a sua volta avrebbe chiamato il generale che comanda l'Emilia-Romagna, Giovanni Giove e questi i suoi sottoposti, in un passaggio della catena di comando che ha riportato l'intervento fino agli ultimi agenti, destando non poco scalpore.
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Per giorni nei menù all'entrata di molti stand della Festa dell'Unità si è notato un cartello che avvisava i clienti della possibile presenza di carni o pesce surgelati.
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Alla richiesta di chiarimenti al ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina, già sottosegretario con delega all'Expo nel precedente governo, e fra i protagonisti dell'organizzazione dell'Esposizione di Milano del 2015, ci ha risposto il ministero «Non c'è stato nessun contatto tra il ministro e il Capo del Corpo forestale.
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E le sanzioni del caso sono state regolarmente applicate».
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Nessuna reazione degli altri interessati.
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Ufficiosamente i sindacalisti danno un altra versione ma non vogliono in alcun modo comparire.
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«So del fatto. Se vai a casa del "partito" una qualche reazione c'è ma non posso parlare» ci dice il primo.
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«E' un vizio italico. Il ministro si sarà interessato… per capire ma noi dobbiamo fare il nostro dovere» ci spiega un secondo.
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«So dei fatti ma è meglio non aprire bocca. Il ministro si è interessato ma non ha preso provvedimenti contro i colleghi, almeno fino ad oggi» ci dice un terzo molto preoccupato dell'evolversi della vicenda, raccontandoci anche che «c'è in campo un piano di soppressione o fusione del Corpo e quindi è meglio stare zitti», vista anche la procedura di infrazione dall'Unione Europea, perché in Italia abbiamo troppe forze di polizia.
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Un corpo antico quello della Forestale che ha 191 anni di onorata attività ed è tra i pochi a riuscire a setacciare i reati ambientali di prossimità.
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Considerando che il 90-95% dei costi del Corpo è la voce personale a tempo indeterminato la cancellazione porterebbe un ben magro risparmio.
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Il premier Matteo Renzi ha chiuso la Festa dell'Unità nazionale siglando con i ministri e i maggiori leader europei il patto del tortellino, cenando con la nota pietanza.
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Non si è capito cosa il patto contenesse ma Bologna e la Festa dell'Unità restano un simbolo per la sinistra da travalicare l'Italia.
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Speriamo solo che anche il patto non sia surgelato.
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lunedì 15 settembre 2014

«Buttare» 1 milione di euro è divertente. Ecco come fa Bologna.

Il sindaco Pd, Virginio Merola, renziano acceso, sagace nei confronti dei detrattori del premier (ma prima è stato, in ordine, dalemiano, fassiniano, cofferatiano, veltroniano e bersaniano) vende 7,49 milioni di azioni della Multiutility Hera perdendo in un colpo circa 1 milione di euro.

«Come col giocatore di biliardo che, indeciso tra boccia e boccino, va a finire che ci passa in mezzo e non colpisce niente. In bolognese si dice: al passag di mammalo’cc», commenta il consigliere comunale indipendente Stefano Aldrovandi, ex amministratore delegato proprio di Hera Spa. «Se fanno così le cose facili figuriamoci le difficili».

La decisione di vendere viene assunta, da Merola e giunta il primo luglio scorso, proprio il giorno in cui Libero pubblicava l’inchiesta sulle 1.500 tonnellate di rifiuti tossici sepolti sotto la sede di Hera al centro della città. Un modo per recuperare liquidità «per la manutenzione della città, per l’edilizia pubblica e scolastica – spiega il giorno stesso il vicesindaco Silvia Giannini – sono operazioni meritevoli che lasceremo in eredità alle prossime generazioni». Hera è una società sbarcata in Borsa dal 2003, operazione gestita proprio da Aldrovandi, quando ne era amministratore delegato.

Il Comune cede inizialmente un pacchetto di 1,4 milioni di azioni, qualche giorno prima dell’uscita dei dati della semestrale (l’andamento dei conti) e ricava 2,87 milioni, vendendo a 1,9787 euro per azione. Perché vendere prima della semestrale? Il dubbio resta. Escono poi i dati, che sono migliori delle attese. Il titolo sale, raggiungendo in pochi giorni 2,140 euro per azione e sale ancora.

Risultato? Buttati al vento in poche ore oltre 230.000 euro di soldi pubblici. «Se proprio non ci si capisce nulla, per scegliere il momento giusto in cui le azioni valgono il massimo, basterebbe chiamare l’amministratore delegato di Hera, anche perché il Comune è il principale proprietario-azionista della holding». Commenta sconsolato Aldrovandi.

La seconda puntata, la vendita dei restanti 6,09milionidi azioni, è andata anche meglio. Il Comune si è accorto che i titoli miglioravano e ha ceduto le quote a 2,034 euro ad azione, incassando oltre 15 milioni, vendendo però a circa 0,1 euro per azione in meno del massimo. Aldrovandi incalza: «Anche qui, riflessi lenti: gli zero-virgola contano. Tra la prima e la seconda vendita il Comune ha perso un milione di euro», spiegherà in Consiglio comunale.

«Io sono un tecnico, dei giochi politici non mi interessa niente. Ma quando vedo buttare in questo modo denari pubblici ci resto male», commenta.

Reazioni? «Nessuna. Loro son fatti così. Ti ignorano. Sanno che probabilmente non succederà niente».

La vicenda sembra il refrain di altre inchieste giornalistico-finanziarie affrontate in terra emiliana. Come nel caso della scoperta negli archivi di Banca d’Italia dei «titoli derivati» contratti dal Comune di Bologna, che per giorni negò di averli, poi ammise e infine negò di nuovo, con il tecnico responsabile, Stefano Bigi, che firma l’accordo e vidima il «questionario di accettazione» dichiarandosi incompetente in materia. O l’inchiesta sul salvataggio, sempre con soldi pubblici, della cooperativa Nuova Scena indebitata con Legacoop. Stessa musica.

Aldrovandi si è fatto un’idea anche per questa faccenda: «Ci sarà un titoletto sul giornale e poi volerà via. Sembra che qui in Emilia, alla fin fine, nessuno possa farci niente».

(pubblicato su LIBERO NAZIONALE del 10 settembre a pag. 8)

domenica 17 agosto 2014

1945 : CRIMINI COMUNISTI NELLA "BASSA" BOLOGNESE - IL TRIANGOLO DELLA MORTE



Raccolta di testimonianze, aneddoti, racconti, ed episodi inerenti al bagno di sangue che si è verificato nelle nostre zone nell’immediato dopoguerra, successivamente al 25 aprile del 1945, a guerra finita, e alla loro presentazione.

Sul finire dell’ultima guerra mondiale, nel 1945, e anche a guerra già finita, l’Italia ha assistito sul proprio territorio ad una vera e propria escalation di delitti, di stragi, e di vendette, tutti a sfondo politico, che hanno raggiunto punte di ferocia e di malvagità molto elevate.

Tutti sanno che le vendette e i “conti in sospeso” tra opposte fazioni politiche, ma non solo, hanno scatenato una vera e propria “caccia all’uomo” che non ha risparmiato neppure persone innocenti, donne e anziani, in un clima di odio che non ha precedenti.

I responsabili di questa lunga catena di omicidi e di efferatezze, furono i partigiani comunisti, che vollero così imprimere un triste e indelebile segno nella storia dell’Italia, incidendolo con il sangue delle loro vittime.

I partigiani spesso hanno prelevato le persone direttamente dalle loro case e le hanno uccise senza neanche offrire loro un processo sommario, depredandole e infierendo sui corpi con ferocia.

Molti di questi carnefici furono riconosciuti e arrestati, ma a causa dell’amnistia di Palmiro Togliatti furono rimessi in libertà, e spesso si ritrovarono faccia a faccia con i parenti delle loro stesse vittime,  potendo così irriderle e dileggiarle impunemente.

Possiamo oggi affermare, nonostante i tentativi degli eredi di Togliatti di nascondere o dissimulare la realtà criminosa, che la vastità dei fatti di sangue imputabili ai partigiani comunisti induca a credere che essi siano stati realizzati seguendo un preciso disegno, uno schema pianificato e organizzato a tavolino, scientemente e criminalmente.

Non è un caso che interi gruppi familiari siano stati sterminati, spesso aggiungendo l’efferatezza della tortura agli omicidi, e che poi i partigiani si siano appropriati dei beni materiali delle vittime.

Non è un caso che dopo la guerra, ci si sia trovati davanti a partigiani improvvisamente diventati ricchi, che poterono così iniziare delle attività imprenditoriali usando i soldi sporchi del sangue delle loro stesse vittime.

La scure comunista si è abbattuta con violenza anche sui rappresentanti del Clero, nel tentativo di decapitare coloro che potevano guidare i cattolici verso destinazioni e percorsi diversi da quelli previsti dal comunismo.

Lo storico Roberto Beretta ci segnala nel suo studio del 2005, “Storia dei preti uccisi dai partigiani”, che il numero dei sacerdoti uccisi dall’odio comunista è stato in totale di 130 vittime !

Dopo aver condotto una vera e propria “caccia alla tonaca”, prodromica ad una lunga serie di esecuzioni, compiute appunto dai partigiani, divenne chiaro il tentativo dei comunisti di impadronirsi “politicamente” della società, mediante la forza e l’intimidazione.

Questa tesi fu sostenuta anche dal Cardinale di Bologna, sua Eccellenza Giacomo Biffi, nel 1995, in occasione del cinquantenario della Resistenza, riprendendo e amplificando ciò che già era stato affermato in precedenza da Don Lorenzo Tedeschi, un coraggioso sacerdote che citò la frase di un comandante partigiano comunista :

"Se dopo la liberazione, ogni compagno avesse ucciso il proprio parroco e ogni contadino il padrone, a quest’ora avremmo risolto il problema. "

Il Partito Comunista Italiano ha provveduto poi a mantenere una totale disinformazione sulle stragi, omettendo di parlarne e di pubblicizzare qualsiasi cosa fosse inerente a tutto ciò, stendendo un velo di minacciosa omertà sull’argomento.

Lo dimostra il fatto che ancora oggi si riferiscano a Togliatti come a : “il Migliore” !!!

Si stima che gli uccisi, dopo il 21 aprile 1945 nel bolognese, ammontino a 773, di cui 334 civili (fra cui 42 donne).

Vorrei tentare di dare il giusto ricordo alle vittime, attraverso una serie di rievocazioni storiche, di racconti e di aneddoti, che permetta di collocarle in un contesto non più dimenticato.

Vorrei far riaffiorare le ignobili circostanze attraverso cui sono state messe in atto vere e proprie stragi contro persone spesso innocenti, perpetrate comunque a “sangue freddo”, e cioè a guerra finita, ad armi deposte.

La vigliaccheria è stato il motivo trainante che ha permesso al comunismo di approfittare della violenza insita nei suoi sostenitori per appropriarsi dei beni, oltre che della vita, di centinaia di vittime delle nostre zone.

Sono rimasti in pochi i superstiti, o i figli dei superstiti, o delle vittime, che potrebbero oggi dare luce alle pagine buie degli stermini effettuati dai partigiani nel 1945.

Risulta quindi estremamente difficile comporre un quadro di insieme uniforme, sia per la disinformazione operata in precedenza, sia per il velo che il tempo ha calato sulle vicende, ma certamente tutto ciò non ferma il desiderio di dare alle vittime un giusto riconoscimento, che permetta anche future commemorazioni.

Cerchiamo, attraverso i racconti dei parenti, o degli amici delle vittime, di “mettere insieme” gli aneddoti che la memoria ha tramandato, per poter fruire di un quadro omogeneo che dimostri la verità storica dell’immediato dopoguerra.

Se ricordate qualche particolare inerente alla soppressione di parenti, in riferimento a quell’epoca, magari corredato da vecchie fotografie, sarei lieto di poter avere un colloquio con Voi, nel pieno rispetto della Vostra privacy e del tutto informalmente.





UN PO' DI "VERA" STORIA: VITTIME DELL'ODIO COMUNISTA NEL "TRIANGOLO ROSSO"

La locuzione “triangolo della morte” (o “triangolo rosso”), di origine giornalistica, indica un'area del nord Italia in cui alla fine della seconda guerra mondiale, tra il 1945 ed il 1948, si registrò un numero particolarmente elevato di uccisioni a sfondo politico, attribuite a partigiani ed a militanti di formazioni di matrice comunista.

Il territorio  su cui ha imperversato l’odio comunista, attraverso gli omicidi e le efferatezze compiute da schiere di partigiani assassini e carichi di odio, è compreso tra le città di Bologna, Reggio Emilia, e Ferrara.

Anche nei territori del nostro comune (Minerbio – BO) e di quelli vicini o adiacenti, la ferocia e l’odio che da sempre contraddistinguono il vorace mostro sanguinario comunista, si sono manifestati con palese evidenza in tutta la loro drammaticità.

I rancori e le vendette personali, così come, a volte il semplice delirio di onnipotenza dei partigiani comunisti, hanno prodotto un abisso di orrore sui cittadini inermi dei nostri territori, compiendo vere e proprie stragi a guerra già finita.

Elenco solo alcune delle vittime che sono riuscito a identificare dopo un paziente lavoro di ricerca, e prego chiunque fosse in grado di fornire dettagli o di completarne la stesura di contattarmi.

Lo scopo non è quello di alimentare l’odio verso coloro che si sono macchiati di tali nefandezze, ma quello di restituire alla verità storica la giusta dimensione della realtà che i comunisti hanno tentato di nascondere per decenni.

Ho riscontrato infatti grande difficoltà nel riassemblare i frammenti di verità precedentemente nascosti dall’opera sistematica di disinformazione messa in atto dal PCI prima, e dai suoi eredi metamorfizzati in seguito.

Ad esempio, non è stata data alcuna risonanza, infatti, riguardo al fatto che dal 24 aprile al 5 dicembre 1945 la media dei preti assassinati dai comunisti nell’arcidiocesi di Bologna sia stata di un martire al mese.

Nonostante il processo di revisione storica innescato dal crollo del comunismo mondiale, dopo la caduta del “Muro di Berlino”, pochissimo è stato scritto su queste vittime, a cui non è stata dedicata nemmeno una via o una piazza.

Ecco quindi alcuni dei nominativi delle vittime dimenticate, che in concomitanza dell’anniversario del 25 Aprile è giusto e doveroso ricordare.

Onoriamo citandoli, il loro estremo sacrificio, insieme a tutti coloro che non sono qui elencati, abbracciandoli idealmente. Continua a leggere...

sabato 2 agosto 2014

Una archiviazione ridicola.

E' di ieri la notizia della richiesta di archiviazione delle indagini iniziate nel 2005 sulla pista palestinese e la strage di Bologna. 
Quando l'ho saputo dai giornalisti ci sono rimasto male, oggi l'ho letta e ho capito che il nostro Paese non vuole fare i conti con la propria storia. Stavo andando alla stazione il 2 agosto 1980 dovevo vedere l'orario del treno per Torino che avrei preso nel pomeriggio per iniziare il car nei carabinieri. 
E' scoppiata mentre io ero a metà di via Indipendenza, pochi minuti e sarei stato travolto anch'io da quella maledetta bomba.
Da li nasce la mia ossessione per sapere la verità su quel tragico evento.

La sentenza che condanno' Mambro, Fioravanti e Ciavardini non mi ha mai convinto. 
Un processo indiziario che condanno' i tre, all'epoca uno minorenne e gli altri due ventenni, non per aver collocato la bomba, ma per aver partecipato all'organizzazione dell'attentato. 
Infatti nessuno ha mai dimostrato che fossero presenti quel giorno a Bologna. Con loro vennero condannati i vertici del Sismi per depistaggio, la cosa comica e' che avevano depistato le indagini portando gli inquirenti ad indagare proprio sui NAR e su Fioravanti. 
Tra l'altro i Nar, colpevoli di numerosi omicidi e reati, non hanno mai usato le bombe nella loro attività criminale. 

Quando arrivo' la sentenza definitiva mi sentii impotente, capivo che eravamo lontani dalla verità, ma non avevo nulla in mano per poter dire che ci fosse un'altra pista da seguire. 
Poi la svolta. Nel 2005 ero parlamentare e vengo informato che in commissione Mitrokhin erano arrivate delle carte dalla Francia, mandate dal giudice Bruguiere, che contenevano grandi novità sulla strage di Bologna. 

Immediatamente chiesi di farne parte e incominciai insieme a due consulenti, il giornalista Gian Paolo Pelizzaro e il magistrato Lorenzo Matassa, già componente del pool di Falcone, a visionarle. 
In primo luogo scoprimmo che quel giorno un terrorista c'era a Bologna era Tomas Krham e che per anni ci avevano occultato la notizia. 
Dalle carte scoprimmo che Krham era un militante del gruppo Separat, un'organizzazione terroristica composta da palestinesi e tedeschi comandata dal Carlos. 
Nella medesima organizzazione militava la Froelich , una terrorista arrestata a Fiumicino nel 1982 con un carico di esplosivi e riconosciuta da un portiere dell'hotel Jolly che dichiarò di averla vista all'hotel Jolly l'1 e il 2 agosto 1980. Il gruppo Separat, controllato dalla Stasi, erano alleati dell'Fplp, organizzazione terroristica palestinese federata all'Olp.

Tutto qui? 

No da documenti provenienti dai vari archivi dei paesi dell'est ricostruimmo le attività del gruppo e da documenti italiani scoprimmo il Lodo Moro, il patto dichiarato e ovviamente non scritto tra lo Stato Italiano e i palestinesi grazie al quale si consentiva ai palestinesi di trasportare e tenere in Italia armi ed esplosivi usati nei vari attentati in Europa a patto che i palestinesi non facessero attentati in Italia ad eccezione di proprietà o persone americane o ebree. 
I depositi erano custoditi insieme alle Br, i migliori alleati dell'Fplp come hanno dichiarato i vertici stessi dell'organizzazione palestinese. 
Ma qualcosa si inceppò e i carabinieri nel novembre del 1979 arrestarono tre militanti del collettivo di Via dei Volsci mentre trasportavano dei lanciarazzi appartenenti all'Fplp e il giorno successivo venne arrestato anche il responsabile dell'Fplp in Italia Abu Saleh. 

Probabilmente l'arresto fu voluto dai carabinieri che, Dalla Chiesa in testa, vedevano negativamente l'accordo fatto con i palestinesi perché quelle armi erano usate anche dalle Br.
Ovviamente la vicenda porta ad una reazione molto dura da parte dei vertici dell'Fplp che già durante il processo che si svolse a l'Aquila nel gennaio del 1980, mandano una missiva contenente esplicite minacce nel caso non venissero liberati i quattro arrestati e restituiti i loro missili, ricordando gli accordi presi dallo Stato italiano. 
Nulla da fare i quattro vengono condannati e incomincia il conto alla rovescia della ritorsione. Probabilmente non doveva accadere a Bologna, ma sicuramente quella bomba che scoppio' il 2 agosto 1980 doveva servire con ogni probabilità proprio alla ritorsione annunciata il 2 luglio 1980 con una circolare dal prefetto De Francisci che dichiara esplicitamente che era partito l'ultimatum da parte dei palestinesi e di vigilare su alcune città probabili oggetto dell'attentato fra cui anche Bologna.

Questi in sintesi i fatti che ho raccontato più ampiamente nel libro che ho scritto su questa vicenda "Bomba o non bomba alla ricerca ossessiva della verità" che contiene un cd con quasi mille pagine di documenti per la maggior parte secretati all'epoca della pubblicazione del libro. 
Ma torniamo alla richiesta di archiviazione che poggia su due questioni più importanti: non c'è prova dell'esistenza del Lodo Moro e non e' certo che Krham facesse parte dell'organizzazione Separat.

Sul lodo Moro c'è una sentenza emessa dal tribunale di Venezia alla fine degli anni ottanta sul traffico di armi palestinesi / Br che ne certifica l'esistenza peraltro confermato da un alto ufficiale del Sismi proprio in quel processo. 
Cossiga e' uno di quelli che confermo' l'esistenza del Lodo Moro ma i giudici di Bologna dicono che hanno udito Cossiga che avrebbe dichiarato loro che e' solo una sua congettura. Peccato che ci siano almeno sei o sette libri scritti da Cossiga in cui spiega cos'è il Lodo Moro e come ne scoprì l'esistenza. 
Non solo c'è una sua lettera autografa inviata all'on Fragala', in occasione di una conferenza stampa tenuta nel 2005 e alla quale Cossiga non poté partecipare, in cui il defunto ex Presidente della Repubblica dichiara nero su bianco l'esistenza del Lodo Moro. 

Di questo patto ne parlano e ne ammettono l'esistenza anche i vertici dell'Olp e dell Fplp in diverse interviste. Ma per i giudici di Bologna non e' sufficiente, forse cercavano il documento ufficiale come se un patto del genere possa essere scritto. 
Non ci sono prove che Krham facesse parte del gruppo Separat? 
C'è un documento della Stasi, il servizio segreto che controllava per conto del KGB, il gruppo di Carlos agli atti della commissione Mitrokhin e inviatoci dal giudice Bruguiere con l'elenco degli appartenenti a Separat. 
C'è ovviamente Krham e anche la Froelich nome di battaglia Heidi. 
Non solo. 
C'è un altro documento dei servizi segreti ungheresi che testimonia che Krham, la Frolich e Carlos si incontrarono a Budapest poche settimane dopo l'attentato a Bologna. Niente, per i giudici di Bologna tutto ciò non e' sufficiente.

Quasi 10 anni di inchiesta non per cercare la verità, ma per giustificare una archiviazione. 
Li paghiamo anche troppo questi magistrati, per quello che fanno. 

Di E. Raisi 

Tratto da: LINK

martedì 8 luglio 2014

Vasco Errani si è dimesso, condannato per il caso Terremerse


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Vasco Errani è stato condannato in Appello per il caso Terremerse.
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Ha appena annunciato che si dimette dall'incarico alla presidenza della Regione.
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L'udienza tenutasi a porte chiuse ed iniziata il 16 giugno scorso alla Corte d'Appello di Bologna aveva visto il pg  Miranda Bambace chiedere due anni per falso ideologico.
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L'accusa era relativa al solo falso contenuto nella relazione inviata alla Procura dalla Regione, firmata da Errani, sul finanziamento alla coop agricola del fratello del presidente.
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Giovanni Errani, fratello di Vasco è accusato di truffa e falso per un finanziamento pubblico da un milione di euro.
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La somma fu erogata alla sua coop dalla Regione Emilia Romagna presieduta da Vasco.
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Nessun altro capo di imputazione per Vasco che sembra non sapesse del finanziamento al fratello.
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Possibile ?
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Vasco Errani è stato condannato oggi a un anno di pena.
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Assolto in primo grado, per il giudice mancava l'aspetto soggettivo del reato, il movente, la consapevolezza di commetterlo, visto che la relazione era stata inviata da Errani di sua volontà per discolparsi.
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La Procura è ricorsa in Appello. Per gli stessi motivi sono stati chiesti due anni e due mesi  per i dirigenti regionali Filomena Terzini e Valtero Mazzotti.
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Dopo l'assoluzione in primo grado dall'accusa di falso ideologico la Corte, presieduta da Pierleone Fochessati, ha emesso oggi il verdetto. 
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Il presidente dell'Emilia-Romagna, rappresentato dal legale Alessandro Gamberini, non era presente in Corte d'appello.
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Aveva dichiarato in precedenza che in caso di condanna si sarebbe dimesso dalla guida della regione Emilia Romagna.
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La Corte d'appello di Bologna ha condannato, ad un anno e due mesi, anche i due funzionari regionali che si occuparono della relazione della Regione per il caso Terremerse, Filomena Terzini e Valtero Mazzotti.
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Fonte: Link
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