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CLASSIFICAZIONE TASSONOMICA :
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REGNO : Fungi
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DIVISIONE : Basidiomycota
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CLASSE : Basidiomycetes
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ORDINE : Agaricales
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FAMIGLIA : Marasmiaceae
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GENERE : Armillaria
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SPECIE : Armillariella mellea (Vahl) P. Kumm
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L’Armillariella Mellea, abbastanza comune anche nei nostri
territori, è conosciuto, come spesso succede in micologia, con parecchi nomi
“volgari” a seconda della zone di nascita.
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E’ chiamato infatti “chiodino”, oppure “famigliola
buona”, o ancora “rigagno”, e in altri svariati modi, dai raccoglitori locali
delle varie località in cui appare.
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Questo fungo, pur essendo tossico da crudo, viene
consumato previa bollitura, divenendo infatti un ottimo commestibile solamente
dopo cottura.
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L’Armillariella mellea contiene tossine termolabili
(emolisine) che vengono cioè rese innocue dalla temperatura a 65/70 gradi
centigradi.
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L’acqua di cottura deve sempre essere buttata e va
consumato solo il cappello.
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Sembra che il congelamento del fungo da fresco fissi
le emolisine in maniera tale da impedire che poi, anche dopo prolungata
cottura, si riesca a smaltirne i principi attivi, per cui si potrebbe incorrere
in questo caso in disturbi gastrointestinali di breve latenza.
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Il fenomeno appare quindi anche nel caso in cui i
carpofori di Armillariella siano stati raccolti dopo qualche gelata notturna.
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Il sapore di questi funghi cambia a seconda
dell’habitat in cui crescono, rivelando caratteristiche migliori per quelli
nati sotto latifoglie, e meno interessanti per i funghi nati sotto conifere.
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Le varietà più amare di questo fungo risultano
essere meno digeribili e non da tutti tollerabili.
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Se ne consuma solamente l’estremità superiore del
gambo, insieme al cappello, poiché il resto del gambo è coriaceo ed indigesto.
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Una importante caratteristica dell’Armillariella
mellea è quella di essere un fungo parassita, che cresce cioè a discapito della
pianta, di cui provoca infatti marciume radicale fibroso, distaccamento della
corteccia dal legno sottostante, appassimento delle chiome, e successiva morte
della pianta ospite.
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Attraverso le “ife”, cioè i cordoni non visibili di
micelio presenti sotto il terreno, costituenti la vera “pianta fungina”,
l’Armillariella si propaga nel sottosuolo, passando dalle piante malate a
quelle sane.
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Hipholoma fasciculare |
Dopo la morte della piante il “chiodino” è in grado
di continuare il suo ciclo vitale sullo stesso legno anche come organismo
saprofita, cioè che si nutre di materia organica morta, o in decomposizione.
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In letteratura si hanno notizie di fruttificazioni
di Armillariella mellea, come quelle situate in una foresta dell’Oregon, che si
estendono per 9 chilometri, e che
sembrano abbiano 1500 anni di età.
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Generalmente il cappello del “chiodino” assume
aspetti diversi dal punto di vista cromatico, in relazione all’essenza vegetale
su cui si sviluppa.
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Possiamo infatti trovarlo di colore giallo miele sui
Pioppi, sulle Robinie, e sui Gelsi.
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Può assumere un colorito brunastro se cresce sulle
Querce, oppure tonalità grigio nerastre sul Sambuco, e infine con sfumature
bruno rossicce sulle conifere.
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Ad esempio, su legno di Peccio si ritrova con gambo
rigonfio e bulboso ed un colore molto scuro, bruno seppia, mentre su faggio
raggiunge taglie enormi, con cappello molto carnoso e colore scuro rossiccio.
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Può essere confuso con altri funghi commestibili,
quali la Clitocybe Tabescens o la Pholiota Mutabilis, ma anche con l’Hipholoma
fasciculare, detto anche “falso chiodino”, velenoso.
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Quest’ultimo però si differenzia dal “chiodino” per
la mancanza di anello.
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L’armillariella
mellea è un fungo che può arrivare alle dimensioni, in altezza, di 15 cm, con
un diametro del cappello fino a 8 cm, ed è dotato di un anello nel gambo,
persistente, bianco e striato nella parte superiore, chiamato armilla.
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La “famigliola buona” è un fungo comune quindi, ma
con una particolarità molto interessante : quella di essere bioluminescente,
cioè di emettere una tenue luce propria di notte.
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Secondo alcune teorie la luminescenza sarebbe da
porre in relazione all’utilità che la specie ne deriverebbe in campo
riproduttivo, usandola allo scopo di attirare moscerini e insetti di vario tipo,
utili alla dispersione delle spore.
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Secondo altri scienziati, invece, non ci sarebbe
alcuna attinenza a tutto ciò, ma si tratterebbe semplicemente di un fenomeno di
natura strettamente chimica, dovuto a particolari reazioni di tipo ossidativo
che avvengono nelle cellule durante la
respirazione.
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Il micelio luminescente, penetrando nella corteccia
degli alberi, rende il legno a sua volta fosforescente, amplificando l’effetto
visivo della luminescenza.
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E.B.
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